Il bene comune conta più del bene del singolo
Papa Benedetto XVI

1915-2015 Centenario della morte di Alberto Picco

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sabato 25 luglio 2015

Pellegrinaggio sull'Ortigara meditando con don Bruno Fasani

Abbiamo partecipato al pellegrinaggio solenne dell'ANA sul Monte Ortigara. È stata un'esperienza molto significativa ad alto impatto emotivo. Dopo aver letto libri e visto documentari, vedere quei luoghi con i propri occhi è tutt'altra cosa. A favorire l'inevitabile momento di riflessione è stata l'omelia pronunciata da don Bruno Fasani, direttore de L'Alpino, durante la Santa Messa da lui officiata nei pressi del monumento sulla vetta del Monte Ortigara. Don Bruno ci ha cortesemente inviato una sintetica traccia del suo discorso, lo ringraziamo per aver accolto la nostra richiesta.

Sono partito dal brano evangelico in cui Gesù manda i discepoli in missione. E li manda perché ha compassione della gente, che è come “pecore senza pastore”. Metafora di una società che fa fatica a trovare coordinate e certezze di riferimento. Allusione, per tornare al presente, alle incertezze derivanti dall’economia, con tanta sofferenza in tante famiglie. Allusione alla famiglia in crisi, alle difficoltà educative verso le nuove generazioni e tanto sbando tra di loro. Allusione al venir meno di un quadro di riferimento etico, dentro una società dove il desiderio soggettivo e quindi l’individualismo stanno prendendo il posto dei diritti e dei doveri… Dove spesso il male viene considerato un bene, solo perché risponde ai desideri della gente. Allusione ad una politica che appare sempre più autoreferenziale e sempre meno attenta ai problemi dei cittadini.
Insomma, una società che sta perdendo stabilità e certezze.
Da qui il dovere di sentirsi tutti responsabili per rimettere in piedi la situazione, a vari livelli e con differenti responsabilità. Due gli errori da evitare.
Il primo è quello che Papa Francesco chiama lo zapping della coscienza. Ovvero l’abitudine a guardare la società e i fatti della vita allo stesso modo con cui si cambia canale in Tv, senza trovare quello che ci interessa o qualcosa su cui fermarci. Si diventa così curiosi senza essere responsabili.
Il secondo errore è quello di confondere il bene comune con il benessere. Il primo domanda di cercare il bene di tutti, guardando ai vari problemi che ci sono dentro la società, il secondo è l’illusione che tutta la società vada bene, solo perché io sto bene. Anche qui prevale la logica dell’individualismo.
Da qui deriva l’attualità dell’impegno alpino: guardare ai problemi e darsi da fare, evitando due pericoli. Il primo è quello di diventare custodi di cimiteri. Noi doverosamente ricordiamo i nostri morti, ma senza diventare becchini. Noi facciamo memoria per dare voce a loro, ai nostri caduti, i quali ci ricordano che senza giustizia, la storia è destinata a ripetere errori e sofferenze. Il secondo errore è quello che riduce l’Ana allo stile degli storici che fanno grandi ricerche accademiche. Ricerche che sono fondamentali, ma che non possono avere la pretesa di confinare l’alpinità solo nell’indagine storica. Chi ci rimprovera di essere una Onluss o i boy scouts con la penna in testa, non ha capito che l’alpinità non è solo memoria ma continuità di testimonianza, e quindi di opere, con chi ci ha preceduto.

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